Veronica Fino
Il Reality Shifting come fuga dalla realtà per la Gen Z. Un isolamento virtuale come fuga da quello, prolungato, reale. È questo, secondo gli psicologi che studiano i comportamenti dei giovanissimi, uno dei problemi più rilevanti a livello sociologico emersi dal 2020, fenomeno di massa che coinvolge gran parte della “Generazione Z”, ovvero quella dei ragazzi nati tra il 1997 e il 2012. Successori dei Millenials (nati fra primi anni ’80 e metà ’90), i “nati Z” inizialmente furono indicati come la Homeland Generation, termine suggerito dall’arresto e dalle paure nel viaggiare dopo l’attacco alle Twin Towers, timore poi ben presto superato. La caratteristica principale di questa categoria (anche nota come iGen per i più giovani) è il non aver pressoché avuto alcuna familiarità con dispositivi analogici, ma di essere interamente cresciuti quali nativi digitali fra device e mondo hi-tech. Il Reality Shifting è un isolamento volontario nel mondo virtuale, che avviene attraverso giochi interamente “vissuti” in maniera digitale e/o condivisa con giocatori di tutto il mondo in multiplayer, oppure una vera e propria disconnessione dal mondo reale, in vista di una totale immersione in mondi digitali, più o meno idealizzati, alternativi. Lo scopo è essere sì, lucidi, ma rimanendo in una dinamica di sogno che si sposta nell’inesplorato virtuale. E ciò si rispecchia perfettamente nel social più amato dagli “Z”, TikTok, dove l’hashtag #shifting ha ottenuto fino ad oggi ben più di 4 miliardi di visualizzazioni, con tanto di gruppi e utenti a “guidare” questa fuga illusoria, che si struttura principalmente attraverso due metodologie: una è quella di inseguire una persona o oggetto che assume la funzione di “scia”, oppure il “raven method” che consiste in una forma autoipnotica, col rilassamento indotto da una posizione comoda e un conto alla rovescia per “entrare” in quel mondo tanto ambito, a volte non senza forzature della mente conscia, potendo così “cambiare” la propria realtà. Cosa che, secondo gli shifters, avrebbe effetti realistici e concreti grazie allo stadio di semi trans. Nell’ipnosi e, più in generale nella psicologia, queste induzioni hanno a che fare con la stimolazione e l’attivazione della mente verso compiti cognitivi differenti, sblocco dei traumi, ma nel caso giovanile è allarmante la forma di chiusura al mondo più reale, che presenta un forte rischio di perderne contatto, con conseguenze estreme, come dimostrato dalle numerose denunce di psichiatri infantili giapponesi in riferimento al gaming e all’alienazione, che può colpire ragazzi apparentemente pacati, che via via lasciano scuola -nonostante i frequenti buoni risultati- amici e mondo esterno, e che, scontrandosi con ciò che poi li circonda, giungono nei casi più limite, al suicidio. Nello specifico, lo studio sugli hikikomori, coloro che, letteralmente, restano in disparte, vittime di un’enorme pressione sociale nella cultura nipponica, che inneggia all’autorealizzazione, ha delineato quanto il fenomeno riguardi più fasce di età e si fondi su una volontaria esclusione dalla comunità, dagli affetti e anche dai contatti di scuola e lavoro per almeno sei mesi, rendendo arduo il resinserimento sociale, anche laddove supportato da un percorso psicoterapeutico e psicofarmacologico. Il problema alla base, anche per lo shifting, è esattamente il “ritorno” alla realtà dopo la fuga, la riconversione in una dinamica quotidiana che spesso non è in grado di essere all’altezza del mondo idealizzato, per l’appunto, durante l’esperienza. Per quanto complesso da comprendere, in particolare per gli adulti, questa include un abbandono dell’interesse scolastico, nonché una lesiva inversione del ritmo sonno-veglia, ore di solitudine fra luci soffuse, figli rinchiusi nello spazio personale di una stanza come unico portale verso altre dimensioni, alcune forse meno complesse, altre persino più ardue, mantenendo tuttavia quella certezza che, una
volta finito il dolore, anche il peggiore dei nemici sarà sconfitto (non a caso, uno dei “luoghi” dove trovare rifugio è il mondo di Harry Potter, amato da numerose fasce di età differenti fra loro). Grottesco e altresì pericoloso, non è un caso se questo isolamento dalla realtà si amplifichi in un periodo storico già di per sé drammatico che sfocia in alienazione e difficolta a relazionarsi; conseguenza e rischio, questi, sempre maggiori in previsione del futuro. Un avvenire che, ci si augura, ponga fine a tutto questo con un ritorno all’integrazione all’interno un mondo più “reale,”, “vivo”, fisico, costruito su contenuti, e non sull’alternativa più meramente perigliosa di un rifugio nel virtuale inteso come ricerca di aiuto in una società che, spesso, dimentica di ascoltare, limitandosi a sentire; la stessa società che si limita a vedere e non osservare ciò che si nasconde oltre a quanto mostrato sui vari profili, una realtà spesso fittizia, sdegnoso simbolo sempre più evidente di un enorme disagio con perdita di valori e di adeguati supporti. Un auspicio, il nostro, che con “rifugio” si alluda a qualcosa di concreto e non un luogo da rifuggire, dove l’inclusione di persone e idee, in un nuovo modo senza etichettature estremizzate sia protagonista.
21 Aprile 2021 Fonti: MedSalute, money.it
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